Tre voci per una Biennale. Speciale Speech Art Venezia 2024

Dazebao News - Federica La Paglia

Ogni biennio questa rubrica lascia spazio ad alcune voci dell’arte contemporanea, perchè esprimano la propria opinione sulla Biennale di Venezia appena conclusasi; così sviluppiamo una piccola indagine critica sulla manifestazione che, più di ogni altra, dovrebbe farsi espressione dei recenti andamenti artistici e socioculturali. Per la 60ma Esposizione Internazionale d’Arte la mini intervista esce a distanza, scavalla l’anno, quasi a mimare un piccolo passaggio verso la prossima edizione, perché è innegabile che la mostra vista nei mesi scorsi abbia aperto un varco di cui non si può non tener conto.

La Biennale di Adriano Pedrosa è stata un preciso atto politico, il passo forse inevitabile (ma fondamentale) in un cammino già iniziato, basti pensare all’edizione di Cecilia Alemani e a quella di Okwui Enwezor, da cui il curatore brasiliano si è distanziato per maggior coraggio e autenticità, perché Enwezor aveva di certo ben chiaro il concetto di colonialità della quale, però, non è riuscito a liberarsi nel costruire la mostra in Laguna.

In attesa di vedere il progetto di Koyo Kouoh – nominata direttrice della Biennale di Venezia 2026 -, abbiamo rivolto una stessa domanda a tre figure dell’arte contemporanea, il cui sguardo segna un significativo punto di contatto con il lavoro sviluppato da Pedrosa.

 

Come dicevamo, l’indubbio merito di Adriano Pedrosa è stato quello di affrontare un tema centrale dell’ontologia umana e della società contemporanea (Stranieri ovunque), obbligando a muovere lo sguardo verso le identità negate, ancora oggi, spesso anche dagli stessi attori (occidentali) dell’arte; mi riferisco ad esempio al tema dell’arte popular, un terreno ancora poco conosciuto e comunque sottostimato dal mainstream eurocentrico, o al rivelatore uso dell’antistorica espressione “terzo mondo” nel commento alle scelte curatoriali. Ma al di là di questo, guardando la mostra ho avuto la sensazione che fosse un poco come una tesi compilativa, più che di ricerca. Che ne pensi? Quale è la tua opinione sulla Biennale in oggetto, tanto sotto il profilo puramente artistico, quanto culturale e sociale?

Forse l’approccio vincente della Biennale si concentra proprio su questo: spostare l’attenzione verso identità costantemente negate, verso spazi di espressione sociale e culturale che si muovono ai margini o nell’anonimato, in contesti decentrati, nella dissidenza, trovando luoghi poco consueti nel contesto dell’Arte, di cui troppo spesso non ci si interessaQuesta nuova prospettiva riesce a rendere visibile ciò che non si vede quasi mai, che è una delle funzioni chiave dell’Arte Contemporanea, ovvero riscrivere la Storia, a partire dalla metaforica dissidenza multiforme.
Comunque, e dal punto di vista del semplice spettatore, credo che la Biennale si sia sovraccaricata di formalizzazione ed estetizzazione e che molti dei pezzi esposti, politici, carichi di discorsi enfatici, potenti e capaci di questionare, in realtà in un modo o nell’altro siano stati disattivati da come è stato concepito lo sviluppo dell’allestimento o dal percorso, o forse dal fatto che le opere in sostanza risultano poco leggibili. Si tratta quindi, per me, di una Biennale strana, con chiari e scuri, ma che solleva questioni cruciali per il nostro tempo, il cui passaggio segnerà la sua rilevanza nel contesto globale dell’arte contemporanea.

Avelino Sala, artista

Enero 13, 2025
de 171